Renxit: è possibile evitarla ?

Corriere della Sera - Le riflessioni di Roger Abravanel sulle riforme

In questi giorni è iniziata una pre-campagna elettorale sul referendum sulla riforma costituzionale e si stanno accendendo le polemiche  contro Matteo Renzi accusato di volerla utilizzare per aumentare il proprio potere e conservare lo status quo . 

A questa idea hanno contribuito politici dell’opposizione, opinionisti e costituzionalisti che hanno alimentato una campagna di denuncia contro il rischio di una ” deriva autoritaria “. Secondo loro, eliminare l’attuale bicameralismo paritario “perfetto” che oggi consente a due camere e non una sola di rappresentare i giusti “pesi e contrappesi” completerebbe il rischio di un’eccessiva concentrazione di potere iniziato con l’Italicum dato che quest’ultimo permette a chi ha solo il 20 percento dei voti di avere la maggioranza dei seggi in parlamento. All’accusa di fame di potere si aggiunge poi la condanna morale del “ricatto” del premier che minaccia di fare cadere il governo e provocare una grave crisi economica per colpa di una riforma che distrae l’attenzione dai veri problemi del paese. 

Il governo  e i suoi più diretti sostenitori  hanno risposto evidenziando i meriti “pratici” della riforma come quello di accorciare l’iter delle leggi e ridurre il costo della politica.

Chi scrive non è né un politologo né un costituzionalista ma un osservatore degli sviluppi delle economie e delle democrazie mondiali, oggi convinto che, dopo anni in cui le politiche economiche hanno contato più della politica, siamo entrati in una nuova era in cui la politica conta più dell'economia. Lo testimonia il fatto che, nonostante che le banche centrali abbiano da tempo azzerato i tassi di interesse, gli investimenti privati non ripartono dimostrando una crisi politica di fiducia nelle istituzioni.

Ne consegue che la vera ragione per votare SÌ a questo referendum è la occasione che esso rappresenta per riformare la democrazia rappresentativa italiana, risultato di una serie di mezze riforme abortite che hanno portato a parlamenti con pochissima credibilità agli occhi dei cittadini e dell’opinione pubblica internazionale.

Un sistema elettorale che non ha mai permesso a chi vinceva le elezioni di governare senza “inciuci”. Un bicameralismo paritario “perfetto” (il termine esiste sono da noi) che, come sostiene il governo, rende inefficace il procedimento legislativo, ma soprattutto è stato lontanissimo dal rappresentare un efficace sistema di ”pesi e contrappesi”.

Infine un federalismo che da noi non ha senso perché non siamo né gli Stati Uniti né la Svizzera dove sono nati prima gli stati e i cantoni e poi lo stato federale. Da noi, la tradizione storica e l'esperienza amministrativa hanno sempre avuto come campioni i comuni e le città, non le regioni. La devolution di un grande potere a queste ultime si è rivelato un clamoroso errore voluto dal centro sinistra nel 2001 e bocciato successivamente dagli italiani nel 2006. Ne deriva che da noi il senato ha molto meno senso che nei veri Stati federali come USA e Svizzera, dove rappresenta gli interessi degli Stati e dei cantoni, soprattutto quelli meno rappresentati in parlamento. Noi siamo più simili alla Francia e al Regno Unito, dove lo stato è molto più accentrato e quindi il senato e la camera dei lord contano poco o niente. Questo desiderio di correggere un grave errore ha portato ad un altro elemento della riforma, tanto significativo quanto poco apprezzato, quella modifica dell‘articolo v che toglierebbe alle regioni alcune responsabilità, quali quelle sul lavoro e sull’ambiente.

E la “deriva autoritaria” ? Ebbene il maggior pregio della riforma sembra essere proprio quello di evitare il rischio di cui l’accusano i suoi detrattori, ovvero l’ulteriore indebolimento della democrazia parlamentare. Una sola camera “forte” e con più poteri, con una maggioranza parlamentare “forte” ( grazie all’Italicum) rappresenta  un “contrappeso” molto più forte di due camere con maggioranze ottenute con “inciuci“ e 20 assemblee regionali. Il ruolo centrale lo gioca la maggioranza parlamentare, che secondo l’Italicum sarebbe di 24 deputati, poco più di un gruppo parlamentare, ossia nulla visto il trasformismo parlamentare che storicamente esiste nel nostro paese. 

I costituzionalisti del NO paventano il rischio che, grazie all’Italicum, la camera sarebbe composta da creature del premier “sultano” ( i cosiddetti “capilista”). E’ vero, ma quelli del SI sottolineano che ce ne sarebbe almeno una metà che sarebbe invece eletta secondo le “preferenze” (scelti dagli elettori e non dai capi dei partiti). E comunque, come molti italiani, chi scrive arriccia il naso quando sente parlare di “preferenze” in un paese dove non esiste la cultura della meritocrazia come competizione; le “preferenze” da noi non hanno sempre portato a candidati competenti e interessati al bene del paese (ricordate Cetto la Qualunque?); non bisogna poi dimenticare che nei sistemi elettorali uninominali tanto amati da molti costituzionalisti, “qualcuno” ( i capi dei partiti) sceglie comunque chi si presenta per essere “preferito”. Per questo gli italiani le hanno bocciate in un altro referendum (ma si sa che in Italia i referendum spesso vengono dimenticati). 

Con l’Italicum e con la riforma costituzionale si creano le premesse per chi vince di comandare senza inciuci ma anche di avere contrappesi forti al premier anche se si tratta di parlamentari del suo stesso partito. Il partito conservatore inglese (una sola vera camera perché i lord contano pochissimo) ha mandato via la Thatcher e Cameron che erano dello stesso partito e pur dopo Brexit, dove i populisti hanno vinto, nel Regno Unito nessuno parla di “deriva autoritaria”. 

E’ perfetta questa riforma? Assolutamente no ,soprattutto perché lascia ancora troppo ruolo alle regioni in aree essenziali per i cittadini come la sanità dove molte di loro hanno clamorosamente fallito . Ma è comunque un primo passo nella giusta direzione. 

Se non fosse approvata, l’alternativa sarebbe la continuazione della stagnazione economica e dell’ineguaglianza che porterebbero a una vera “deriva autoritaria” nazionalista e anti-Europa o alla utopia di una democrazia diretta che Brexit ha dimostrato non funzionare. E chi conosce a fondo i problemi della nostra economia sa benissimo che la Mps non si salva con meccanismi di mercato chiedendo ai cittadini via internet come farlo.

Per questo, anche se non perfetta, questa è la “madre di tutte le riforme”, perché tenta seriamente di fare funzionare per la prima volta dopo anni la democrazia parlamentare che è già debolissima ed a rischio di totale perdita di credibilità. Riformarla è l’unico modo per salvarla, permettendo alla politica di affrontare finalmente quelle riforme impopolari che i leader politici italiani hanno sempre evitato (lotta all’evasione fiscale, meritocrazia nella PA, riforma della sanità). Non sarà più necessario ricorrere al populismo elettorale per governare come ha purtroppo dovuto fare anche lo stesso Renzi per esempio togliendo la tassa sulla prima casa e distribuendo il “bonus cultura” .

E, dato che molte delle riforme economiche necessarie per il nostro paese passano per l’Europa, sicuramente la nostra credibilità sarebbe aumentata se, per la prima volta, noi italiani dimostrassimo di essere capaci di andare oltre le chiacchiere su un tema così delicato come la riforma costituzionale, mentre da un anno in Spagna Rajoi non riesce a formare un governo e la Merkel prevede grandi difficoltà il prossimo anno. 

Fa quindi benissimo il premier a dire che si dimette se la riforma non viene votata, esattamente come ha fatto Cameron dopo Brexit. Non da ultimo, perché lo ha detto nelle dichiarazioni programmatiche in Parlamento che diveniva Premier proprio per fare le riforme.

Purtroppo esiste oggi anche da noi il rischio che gli elettori votino contro i loro interessi come hanno fatto gli inglesi perché, come in quasi tutto il mondo occidentale, stiamo assistendo anche da noi alla contrapposizione tra chi è dentro il “sistema” è chi è fuori . 

E Matteo Renzi è percepito come parte del “sistema” anche se non ha nessuna colpa dei disastri che hanno combinato le classi dirigenti che lo hanno preceduto. 

Così nasce il paradosso. Renzi vuole rafforzare la democrazia restituendo legittimazione al Parlamento e non indebolirla, ma molti elettori pensano invece che sia affamato di potere e così la sua riforma è vissuta come uno strumento che punta nella direzione opposta. Ovvero a svuotare ulteriormente di legittimità democratica l’attività delle istituzioni, sottomettendole alla presidenza del consiglio, cioè a lui. 

Si tratta di un paradosso essenzialmente comunicazionale 

Oggi anche chi intende votare SI, lo fa in gran parte per paura della crisi economica conseguente a una possibile caduta del governo e non perché ha capito che questa è veramente la “ madre di tutte le riforme” . Nella maggioranza dei casi non comprende il dibattito tra i costituzionalisti del SI e quelli del NO. Non sa bene cosa significhi eliminare il “ping pong elettorale”.  La “riduzione dei costi della politica” non sembra così chiave, perché gli italiani capiscono che gli stipendi di un centinaio di senatori contano poco sul deficit complessivo del bilancio; si rischia di relegare così la ” madre di tutte le riforme ” a un paragrafo della spending Review. E, invece di dire “è necessaria una camera che conti, al posto di due che non contano nulla”, il Premier dice invece “si sbrighino a decidere”, il che non valorizza certo il ruolo del parlamento. 

Qualche giorno fa ho spiegato su questo quotidiano come la eccessiva semplificazione della comunicazione su una giustissima riforma come gli 80 euro, la abbia ridotta a una “mancia” agli occhi di molti cittadini. Il rischio che questo si ripeta anche nel caso della riforma costituzionale è altissimo .

Senza una decisa svolta comunicazionale , "Renxit” è oggi una quasi certezza 

Anche tu puoi contribuire al riconoscimento del merito