linkiesta.it – Non saranno le riforme a cambiare la Pa, ma nuovi dirigenti

Parla Nicolò Boggian, direttore del Forum della Meritocrazia: «In Italia c’è il terrore di cambiare lavoro. Cda Rai? Mi aspettavo molto di più»

di Francesco Cancellato
«Perché le cose cambino, bisogna cambare la classe dirigente che governa la pubblica amministrazione». Nicolò Boggian, direttore del Forum della Meritocrazia, nato per iniziativa di professionisti che lavorano in azienda e associazioni di categoria. Balzato alle cronache per il successo della Notte dei Talenti del 2012, di fatto l’evento di lancio dell’iniziativa, oggi il Forum si occupa di Meritocrazia nei Cda, con un osservatorio e una raccolta di buone prassi, un incubatore di talenti che escono dalle università, un indicatore globale chiamato meritometro e più, recentemente, una serie di progetti sulla circolazione dei talenti tra Italia e estero: «I giovani che hanno fatto esperienza all’estero sono la nostra principale risorsa, perché possono cambiare la nostra mentalità»
Boggian, che ne pensa della riforma Madia della Pubblica Amministrazione?
Che non sono le riforme a cambiare la Pa. Tentativi buoni ne sono stati fatti parecchi: da Bassanini, a Brunetta siano alla Madia. Ma le resistenze sono enormi, all’interno dei corpi della burocrazia. Se la riforma non si accopia a nuovi metodi di selezione della leadership e alla mobilità della classe dirigente, rimarrà tutto lettera morta.
Però con la riforma Madia, in teoria, è più facile licenziarli, i dirigenti…
Sui dirigenti, in effetti, è stato fattu un buon lavoro. Soprattutto sul ruolo unico della dirigenza: mentre prima c’erano tutta una serie di inquadramenti contrattuali adesso questa massa di differenziazioni si differenzia in pochi macro gruppi.
Cosa cambia?
Che la dirigenza d’ora in poi, sarà articolata in ruoli unificati e coordinati, che i requisiti di accesso saranno omogenei, così come le procedure di reclutamento, fondate, dice la legge, «sul merito e la formazione continua». Soprattutto, ci sarà piena mobilità dei ruoli, che è un prerequisito fondamentale per una pubblica amministrazione veramente meritocratica.
A proposito di merito, cosa ne pensa dell’idea di togliere il limite minimo per l’accesso ai concorsi della Pa e inserire l’ingele? C’è chi, proprio da queste pagina, ha contestato questa misura, poiché limiterebbe la mobilità sociale…
Per me è l’esatto opposto. Per me, invece, una misura del genere aumenta la mobilità sociale e la meritocrazia.
Come mai?
Innanzitutto, perché abolire la soglia minima non significa non considerare il voto di laurea: comunque un 110 varrà sempre più di un 98. Tuttavia, c’è anche gente brillantissima che è uscita con un basso voto di laurea: perché non dare anche a loro l’opportunità di partecipare?
Il voto non dovrebbe essere per definizione indice di meritocrazia?
Dovrebbe, ma sovente non lo è. Basti pensare, per rimanere in Italia, quanto i voti di laurea siano più alti al sud che al nord. E poi c’è un altra questione. 
Quale?
Spesso i ragazzi dell’università si concentrano troppo sul voto di laurea che su esperienze professionali. Abolendo il requisito minimo si privilegiano anche ragazzi che magari mentre studiavano, hanno pure lavorato. E’ importante che i giovani imparino e facciano esperienze. E che parlino Inglese.
Già, l’inglese. Secondo il nostro Marcello Esposito, spesso sono i figli delle famiglie ricche quelli che possono permettersi di andare all’estero..
Non sono d’accordo. Ormai, con Ryanair, le esperienze all’estero sono alla portata di tutti. E poi una pubblica amministrazione che parla inglese è fondamentale, un una società globalizzata come quella attuale.
C’è un punto ulteriore: come faranno a entrare i giovani nella Pubblica Amministrazione in una fase di tagli. Se chi va in pensione non viene sostituito, per risparmiare, non rischia di rimanere un mestiere da anziani, quello del dipendente pubblico.
Io non ne fare una questione di giovani o anziani. Nella Pubblica amministrazione serve gente brava, non necessariamente gente giovane.
Cosa intende per brava?
Che servono skill importanti. Serve grande capacità di comunicazione: dire poche cose, chiare, non creare casini. Importante avere grande cultura del personale, perché avere un personale motivato è fondamentale. Ma serve anche e soprattutto un grande spirito etico: inorridisco quando vedo certi manager pubblici che concedono a loro stessi buonuscite milionarie. Andrebbe spiegato chiaramente, che se vuoi guadagni facili non dovresti lavorare per il pubblico. Lì sono i valori. O meglio, dovrebbero essere.
Lei ne fa un discorso di leadership, ma non ci sono solo i capi. Non ci dovrebbe essere una maggiore mobilità anche tra i dipendenti?
Certo. Ho letto, proprio su Linkiesta, un’intervista ai dipendenti del Pio Albergo Trivulzio che rimpiangono Mario Chiesa. e non mi ha scandalizzato il fatto che rimpiangano quello che nei fatti è il manager simbolo di Tangentopoli. Piuttosto, che a distanza di più di vent’anni, quei dipendenti fossero ancora lì.
E’ la cultura del posto fisso..
Il problema più grosso del paese è il lavoro. Non parlo solo di disoccupazione, ma soprattutto dell’aravica paura dell’italiano medio di cambiare lavoro, di fare cose diverse da quelle che ha fatto fino a quel momento. Ci sentiamo tutti specialisti. Per dire, io ho cambiato tre lavori in dieci anni: prima facevo selezione del personale nel settore privato, poi sono passato nel settore pubblico e adesso faccio l’imprenditore. E tutte le volte, ho cambiato perché volevo avere nuovi stimoli. Questo non è solo un momento di crisi, ma per chi le sa sfruttare è anche un momento di grandi opportunità. Tutti abbiamo dei talenti: la cultura del posto fisso non ci permette di sfruttarli al meglio.
Le piace il jobs act?
Nel settore privato una rivoluzione a metà. Nella Pubblica Amministrazione siamo ancora un uno step più indietro, perché a quanto ho capito il contratto a tutele crescenti non si applica ai dipendenti pubblici.
Avrebbe voluto la possibiltà di licenziare i dipendenti pubblici?
La chiave del turnover è la flessibiltà. Per il bene delle persone, non dell’amministrazione. Mi spingo oltre: lo Stato dovrevve incentivare la mobilità professionale dei propri dipendenti. Magari dando loro un po’ di ossigeno per mitigare il rischio.
Il problema, semmai, è che nelle scuole non si insegna a rischiare..
Soprattutto all’università. Si passa troppo tempo ad immagazzinare nozioni e troppo poca a educare ai comportamento. Parolo della capacità di affrontare un dibattito, della capacità di comunicare di educare a comportamenti etici anche nel mondo del lavoro. Io sogno una scuola in cui il 50% di ciò che viene insegnato è teoria, mentre il restante 50% sono comportamenti. Oggi, se va bene, il rapporto è 98 a 2.
Un’ultima domanda, visto che è un esperto di meritocrazia e di consigli d’amministrazione. Cosa ne pensa del nuovo Cda della Rai?
Direi di no, le nomine della Rai non sono all’altezza delle promesse di questo governo. Poi mi auguro siano tutti bravissimi, ma è un consiglio un po’ di miracolati. Si sapeva da tempo che andava rinnovato: perché siamo arrivati con un consiglio così raffazzonato e debole mi sfugge.

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