L’Impresa – Una call to action per tutti

Per uscire dalla grave crisi occupazionale, ognuno deve fare il suo: le imprese devono valorizzare il capitale umano, la scuola deve insegnare le competenze richieste dal mercato del lavoro, i giovani devono imparare a fare le scelte migliori.

LAVORO E MERITO. Roger Abravanel, director emeritus di McKinsey
di M.C.O.

Non si può dire che sì ben documentata in una serie di libri di successo (dal primo Meritocrazia del 2008 all’ultimo La ricreazione è finita, scritti con Luca D’Agnese), abbia avuto grandi soddisfazioni sino a ora. Sino a ora, appunto. Perché, forse, è giunto il momento propizio e non possiamo che rallegrar cene tutti quanti, perché è certo che senza una svolta culturale questo paese è perduto. La crisi ha avuto il merito – è il caso di dirlo – di mettere a nudo tutti i mali di un’Italia conservatrice, che da decenni si trastullava nell’illusione di poter continuare a vivere e “prosperare” di clientelismo. Oggi, dopo il tributo pagato in termini di recessione e disoccupazione, è ormai chiaro anche ai più disattenti e recalcitranti che è la qualità del capitale umano il vero elemento competitivo del XXI secolo. Ciò che serve è ricostruire il più rapidamente possibile una catena del valore che parta dal sistema educativo e arrivi al mercato del lavoro, basato su criteri meritocratici, che cresca e valorizzi il talento italiano, sviluppando nei giovani le competenze adeguate ad affrontare la complessità dell’era post-industriale.
Come sta cambiando il modello di selezione nelle corporation e anche nelle medie imprese più avanzate?
Sta cambiando radicalmente. Prima, la selezione avveniva esclusivamente sulla base del curriculum vitae. Dopodichè, si richiedeva che il giovane lavorasse senza “alzare la testa”. Oggi, vengono prese in considerazione molte più variabili che afferiscono l’identità oltre che le competenze delle persone ed esistono anche software estremanente sofisticati, che aiutano a individuare il profilo più adeguato per quella specifica funzione. Il problema è che sono ancora pochissime le aziende che li utilizzano e, in generale, che la consapevolezza delle imprese sull’importanza di saper valutare le soft skill in fase di selezione è ancora molto bassa in Italia.
È un problema di cultura manageriale?
Il punto è che – come ho sempre sostenuto – il piccolo è brutto. Non è un’opinione, è un dato di fatto. Nelle imprese poco strutturate è estremamente difficile che si sviluppi una cultura adeguata alla gestione del capitale umano. Il primo direttore Hr è l’amministratore delegato, perché è una funzione strategica e non va delegata con leggerezza. La Fiat di una volta era così, la mission di Coesia oggi è così: supportare tutti a diventare leader di se stessi, autonomi e responsabili. E poi, c’è un’altra criticità di cui tener conto.
Quella delle aziende familiari?
Sì. Nelle imprese di proprietà familiare, vengono privilegiati i rapporti di fedeltà. Ne consegue che l’innovazione spesso dipende e provenie solo dalle intuizioni dell’imprenditore, non dalla collettività del capitale umano impegnato in azienda. Ma la vera innovazione arriva dalla discontinuità, dallo spunto critico, non dal consenso. E questo è anche il motivo per cui, il più delle volte, le imprese non riescono a crescere: l’imprenditore non diventa leader, rimane un capo. 
E qual è la sua opinione sul management? 
Il management fa quello che può, sono gli azionisti che possono fare la differenza. Il Cda perlopiù in Italia viene utilizzato per rispettare esigenze di compliance, non per valutare davvero l’andamento e le prospettive delle aziende. Vedo molta più responsabilità nel middle management rispetto al top management, che spesso fa i suoi comodi, vivendo sulle spalle delle nuove generazioni. 
In effetti, il primo sondaggio sulla percezione del merito nelle aziende realizzati da Gptw su commissione del Forum della meritocrazia, di cui lei è presidente onorario, ha dato risultati inquietanti…
Siamo in un’epoca in cui la parola responsabilità assume una rilevanza assoluta. Voglio dire che ognuno di noi, e i giovani in particolare, deve assumersi la responsabilità delle sue scelte a partire dalla scuola migliore, all’università migliore, all’azienda migliore in cui potersi esprimere. Rispetto al passato, abbiamo il grande vantaggio dell’accesso alle informazioni che la Rete offre a  tutti. Non è così difficile trovare notizie, opinioni, valutazioni da cui poter comprendere il livello di reputation e credibilità di un’azienda. Il punto è mettersinell’ordine di idee che sta a noi il dovere di cercare, valutare e scegliere.
Con le scuole è più difficile però…
Certo. È proprio questa la motivazione alla base del mio ultimo libro. Ci sono due ordini di problemi da superare. 
Innanzitutto, bisogna prendere atto che serve una standardizzazione della qualità del sistema educativo in Italia. Oggi ci sono troppe differenze tra un istituto e l’altro, tra un’area geografica e l’altra. Dopodiché, è fondamentale rendere trasparenti e accessibili a tutti i risultati dell’insegnamento di ciascun istituto, in base a test standardizzati quali gli Invalsi. In questo senso, sono stati fatti dei passi avanti, ma manca ancora un motore che possa motivare gli insegnati e i docenti.
Cosa suggerirebbe al Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca?
Essenzialmente due cose: perseguire la strada avviata con il progetto “Scuola in chiaro” per raggiungere la totale trasparenza dei risultati delle scuole pubbliche. Oggi conosciamo i dati di 2000 istituti su 6000…E, poi, una rivoluzione nelle università, dove non si insegnano le competenze adeguate al mondo del lavoro di oggi: a fronte di un 70% di docenti universitari convinta di sì, solo il 42% circa di studenti e datori di lavoro ritiene che gli atenei forniscano ai giovani le skill che servono. Purtroppo si continuano a privilegiare le conoscenze e non si insegnano le competenze Un cambiamento in questa direzione avrebbe un impatto positivo sia sulle aziende sia sulle futuro dei giovani.
Quali sono dunque le competenze che servono oggi per il lavoro?
Sono essenzialmente quelle skill cognitive che permettono lo sviluppo di un pensiero critico, dell’autonomia di giudizio, della capacità di decisione. Le principali sono quattro: l’etica del lavoro, che significa essenzialmente fare il proprio dovere, fare la cosa giusta, prendere la decisione giusta, anche in autonomia, a fronte di un giusto salario e prospettive di crescita. 
Team working, ovvero sapere collaborare con gli altri, che non è certo una novità nelle pratiche aziendali, eppure nelle scuole italiane nessuno ancora lo insegna. Communication, che non significa solo saper comunicare bene oralmente, ma anche sapere porre le giuste domande e saper ascoltare. Problem solving, ovvero la velocità e complessità delle situazioni richiede una forte propensione all’individuazione di soluzioni pratiche e funzionali all’obiettivo, anche se migliori in assoluto.
E le condizioni culturali nella società e nelle organizzative, affinché il talento individuale possa emergere ed essere riconosciuto, ci sono?
Dobbiamo ancora superare la cultura antimerito e anticompetitività di cui è impregnato il paese. Un nuovo approccio sta lentamente emergendo, ma non fa parte del Dna degli italiani. Eppure è il mercato che ce lo impone: globalizzazione, tecnologie e crisi economiche non fanno sconti a nessuno.
 
Un’agenda per il merito in cinque punti 
di Giorgio Neglia
Il Forum della meritocrazia, con l’intento di evitare i luoghi comuni e le strumentalizzazioni sui temi del merito, ha realizzato il primo strumento europeo per la descrizione, la misurazione oggettiva e la comparazione del livello di meritocrazia in un paese: il Meritometro/Barometro del merito. 
I risultati della prima edizione, pubblicati in anteprima su “L’Impresa” (n.2/2015) e presentati ufficialmente al Senato della Repubblica lo scorso luglio, fotografano un paese che non consente un’adeguata valorizzazione del merito, sostanzialmente “opaco” nei meccanismi di selezione, con una bassa mobilità sociale e un sistema di regole poco chiaro e trasparente. 
Tutti elementi che finiscono per avere ricadute negative in termini di competitività del nostro sistema le opportunità per giovani e donne.
Da dove cominciare
Visto lo stato di “emergenza – merito” in cui versa il paese, è opportuno concentrare gli sforzi sulle leve che promettono “ritorni” maggiori in tempi rapidi, in primis la qualità del sistema educativo e l’attrattività per i talenti. Questi, impattando direttamente sulle dotazioni qualitative e quantitative di capitale umano, sono in grado di migliorare più velocemente il desolante posizionamento dell’Italia nel ranking europeo della meritocrazia che ci vede ultimi a 30 punti dalla Germania.
Nel complesso il sistema universitario è in movimento verso modelli di maggiore sinergia e contatto con il mercato del lavoro e le migliori università stanno dando l’esempio, fungendo da traino a tutto il sistema. Tuttavia, si registrano ancora alcune resistenze sul fronte della diffusione della cultura della valutazione da superare per poter competere ad armi pari anche sul fronte educativo. 
Sul fronte dell’attrattività dei talenti, è importante disporre di contesti aziendali ‘evoluti’. Le migliori imprese (purtroppo ancora in larga parte estere) stanno sperimentando, e in molti casi consolidando, sistemi di contrattazione decentrata, valutazione e di gestione del personale “meritocratici” che tuttavia è necessario diffondere anche sulle realtà delle piccole e medie imprese che rappresentano l’ossatura del nostro sistema economico. 
Le proposte del Forum
Per valorizzare le esperienze positive e recuperare lo spread del merito il Forum della Meritocrazia avanza alcune proposte concrete sulle quali sono pronti a fornire il proprio supporto progettuale e di realizzazione alle istituzioni interessate:
1. dare vita a un programma di educazione civica al merito nelle scuole che consenta un’evoluzionculturale verso modelli di equità e stimolo al miglioramento, per la realizzazione del bene comune;
2. creare un “presidio stabile” parlamentare/governativo che misuri l’impatto delle leggi in approvazione sulla capacità di incentivo/disincentivo a un sistema meritocratico;
3. monitorare, finanziare e comunicare con maggiore sistematicità la legge sul controesodo dei talenti;
4. istituire un premio alle aziende italiane che adottano modelli evoluti di valorizzazione del capitale umano;
5. introdurre un percorso di mentoring universitario strutturato per gli studenti all’ultimo anno per rendere meno “traumatico” il passaggio scuola/lavoro.
La risposta delle istituzioni
Si tratta di cinque iniziative pilota, molte delle quali tratte da esperienze e buone pratiche internazionali, che facendo leva in modo sinergico sul fronte educativo, sul quadro normativo e sul versante azienda- le, possono consentire di articolare un’azione decisa per la promozione del merito nei vari ambiti dell’eco nomia e della società. L’auspicio è che gli attori della vita pubblica rispondano in modo veloce e incisivo, agendo in modo strategico e con visione. Dal canto suo il Forum, oltre a essere pronto a offrire il proprio supporto alle istituzioni interessate, continuerà la propria azione di promozione della cultura del merito, dando vita ad azioni progettuali e sperimentali in grado di costruire per piccoli passi un paese più meritocratico.
I pilastri della competitività
Secondo i risultati del Meritometro, che si basa sui 7 pilastri indicati di seguito, in Europa i più meritocratici risultano essere i paesi scandinavi. 
L’Italia totalizza un punteggio pari a meno della metà della Finlandia, ma anche inferiore di oltre dieci punti alla Polonia e alla Spagna.
1. Libertà 
2. Pari opportunità 
3. Qualità del sistema educativo
4. Attrattività per i talenti
5. Regole
6. Trasparenza
7. Mobilità sociale

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