L’impresa – Come si fa carriera oggi

PERSONAL BRANDING. I consigli di Claudio Ceper, ex senior partners di Egon Zehnder International
Ci sono meno opportunità rispetto al passato, eppure ce ne sono, per tutte le età.
I canali per raggiungerli sono tre – sponsor, head hunter e aziende –, ma bisogna saperli attivare nel modo corretto.

di Attilio De Pascalis
 
Gli italiani sono un popolo di sedentari: chi fa carriera ottiene una poltrona”, ammoniva Gino Bartali. Molte cose sono cambiate da allora. Fare carriera è diventato un lavoro. E molti manager la poltrona l’hanno addirittura persa.

A Claudio Ceper, per 27 anni uno dei più accreditati cacciatori di teste in Italia, è venuta così l’idea di trasformarsi in “medico delle carriere”. Nato a Trieste, classe 1946, Ceper ha vissuto in Svizzera, dove ha frequentato la scuola elementare, per poi completare gli studi in Italia e laurearsi a pieni voti all’Università Bocconi, in Economia e Commercio. La sua carriera professionale si è snodata attraverso esperienze in imprese italiane e multinazionali (Chase Manhattan Bank, IFI-Fiat, Anvec, EuropAssistance).
Ha ricoperto posizioni di responsabilità gestionale e commerciale, fino a diventare direttore generale e amministratore delegato in Edge Consulting e Mineraria Italiana. Dal 1986 al 2013 ha lavorato nell’executive search in Egon Zehnder International, società leader nel mondo, di cui è stato partner e poi senior advisor. Dal novembre del 2012 è presidente del Forum della Meritocrazia, un ente senza scopo di lucro, unico in Europa.

Come è cambiato lo scenario dei manager in Italia?
Quando ho iniziato a lavorare come head hunter, negli anni ’80, lo schema era semplice: un manager in gamba riceveva molte proposte, a volte, anche più di una contemporaneamente. Se l’offerta era interessante si firmava il contratto, si presentava la lettera di dimissioni e, se l’azienda non rilanciava, ci si lanciava nella nuova avventura.
Si cambiava lavoro con una certa semplicità e forse superficialità. In caso di incidenti professionali, c’erano subito altre opportunità. Oggi è cambiato tutto. C’è, purtroppo, un gran numero di dirigenti e quadri rimasti senza lavoro, per la chiusura delle aziende, la riduzione degli organici o il rientro forzato dall’estero.

I nuovi posti sono pochi. Come reinventarsi una posizione?
Bisogna proporsi in modo diverso. Il tradizionale curriculum vitae, per esempio, va arricchito da una bella foto a colori e magari anche da elementi grafici. Durante i colloqui, poi, ci si può presentare con delle slides stampate, che riassumono esperienze e competenze, i cosiddetti Infographics.

Quali son oggi i 3 elementi chiave per avere successo nella propria carriera?
Al primo posto metto la passione. Ovvero l’interesse, il gusto, il piacere che una persona prova a fare una certa attività. Gli imprenditori di successo, per esempio, sono esseri fortunati, perché combinano il proprio hobby o interesse con il lavoro. E ne traggono anche ottimi guadagni. Al secondo posto, le competenze. Nella scuola Egon Zehnder avevamo definito un modello con 4 aspetti chiave. Il primo è la capacità di portare solidi risultati sia nel breve che nel medio termine, misurabili e basati su un valido sistema di lavoro. Il secondo pilastro è la visione strategica, la capacità di guardare lontano e all’insieme dell’impresa, in qualunque posizione si operi. Il terzo elemento è la leadership verticale, cioè l’attitudine a guidare in modo efficace il proprio team, ma anche a gestire il proprio capo e di sceglierselo, se possibile. Il quarto elemento è la leadership orizzontale, ovvero la capacità di interagire con efficacia ed empatia con l’ambiente circostante: i colleghi, i clienti, il mercato, i concorrenti.
 
E qual è il terzo fattore di successo?
Il terzo aspetto fondamentale sono i valori, i principi sui quali si basa l’azione quotidiana. Concetti come onestà, rigore, dedizione, correttezza, lealtà, rispetto delle persone. Fa un po’ specie parlare di valori in Italia, un paese atipico nel conteso europeo, dove molte cose sono alla rovescia come in Alice nel paese delle meraviglie. Ma quando si guarda con attenzione, si scopre che le imprese e i manager di successo hanno valori forti, li identificano e li rispettano.
Cosa fa il “medico delle carriere”?
Ho iniziato un po’ per gioco, lo confesso, e sulla base di alcune richieste specifiche di qualche mio vecchio “cliente”. Ma funziona alla grande, forse perché ha colto una esigenza molto sentita. Molti manager sono confusi, smarriti. Oppure hanno perso il lavoro e cercano una nuova strada professionale. Ho avviato questa attività nell’ottobre 2013, quando ho lasciato Egon Zehnder a 67 anni, per raggiunti limiti di età. Potevo dedicarmi ai miei hobby: vacanze, opera lirica (abbonamento alla Scala), bicicletta da corsa e viaggi. Ho invece scelto di coltivare la mia passione per il mentoring. E spero così di fare ancora qualcosa di utile per i manager che per lungo tempo sono stati i miei “clienti.” In 27 anni di attività in Egon Zehnder ho incontrato circa 18.000 candidati, e alla fine di ogni colloquio mi veniva spontaneo dare qualche suggerimento per la carriera del mio interlocutore. Il “medico delle carriere” è un servizio a supporto dei manager che hanno bisogno di cure per la loro carriera, in corso o interrotta.

Ma cosa fa in pratica il medico delle carriere?
Innanzi tutto faccio un audit professionale della persona, con lo stesso rigore con cui si analizza un’azienda. Parto sempre dal curriculum vitae che ricevo in anticipo. Poi c’è un incontro che dura circa almeno un paio d’ore. Analizziamo insieme il curriculum. Quanto corrisponde a capacità e potenzialità della persona.
Come si può migliorare. Ebbene, in 9 casi su 10 è carente, va rivisto o rifatto. Non c’è una scuola o un sistema univoco. Molto dipende anche dall’attività svolta e dal settore. Io mi baso su best practice internazionali e sulle aspettative delle aziende e dei cacciatori di teste, che conosco molto bene.

E poi, qual è il passo successivo?
Si passa ad analizzare la carriera della persona. I successi ottenuti. Le sfide affrontate. Gli incidenti di percorso, che un po’ tutti hanno avuto. Le motivazioni che hanno spinto a cambiare lavoro o azienda. Questo è un elemento importante, che spesso viene trascurato. Poi cerco di individuare i punti di forza della persona, leadership, innovazione, capacità di analisi, relazioni con capi e colleghi. Analizziamo le aree di miglioramento. La sintesi di questo lavoro è un documento che chiamo il “personal brand”: chi sei, cosa sai fare, perché qualcuno dovrebbe sceglierti. Il passo successivo è la Value Proposition: una lettera di presentazione, che accompagna il curriculum e riassume il valore della persona. A questo punto il candidato è pronto per mettersi in cerca di un nuovo lavoro. Analizziamo esperienze, competenze, motivazioni e personal brand e valutiamo le opportunità concrete di sviluppo della carriera. Un focus specifico è dedicato alla preparazione di un colloquio di selezione, per mettere il candidato a proprio agio e permettergli di presentarsi al meglio. Non certo di barare o fingere.
 
Ma come avviene il colloquio?
È un dialogo serrato. Esigo e raccomando grande trasparenza, sincerità e apertura. Sono come un confessore e garantisco la massima riservatezza. Chiedo fiducia: il mio scopo è di dare il miglior contributo per lo sviluppo della carriera del manager. Ma il suo destino è nelle sue mani. Con me si possono e devono fare tutti gli errori, in modo che questo non si ripeta quando si incontra un cacciatore di teste o un potenziale datore di lavoro.

Ci faccia qualche esempio, senza violare la privacy.
Posso citare il caso opposto di due cugine, con profili molto diversi. La prima è un Chief Financial Officer, sui 40 anni, molto brava. Una carriera di successi, ma una permanenza forse un po’ troppo lunga nell’attuale azienda, senza più molti stimoli professionali. Abbiamo costruito un personal brand molto “consistent”, come dicono gli inglesi, e una valida “Value Proposition”, anche perché lei è bravissima e le riconosco un fortissimo potenziale di ulteriore crescita. Le ho consigliato di cominciare a guardarsi intorno per cercare un’azienda dove esprimere tutte le sue potenzialità. Le mancava la spinta. Ora si è messa in moto. Le opportunità non mancheranno.

E l’altra cugina?
L’altra cugina ha una situazione diversa. Opera nel marketing, con esperienze variegate. Ha fatto molti cambi, forse troppi, e ora è relegata in un ambiente di lavoro poco solido e non molto stimolante. Un persona demotivata, con poca fiducia in se stessa. Qui il mio ruolo è stato diverso e davvero difficile perché bisognava ricostruire con pazienza e tenacia la propria personalità manageriale, avere l’umiltà di rimettersi in gioco. Però, un primo risultato c’è già stato: mi ha richiamato qualche giorno dopo la nostra sessione di lavoro, mi ha mandato il nuovo curriculum e la nuova Value Proposition ed è ricaricata, piena di entusiasmo e pronta ad attivarsi sul fronte dei suoi “sponsor”.
 
Oltre alle sessioni one-to-one ci sono i seminari.
Sì. In pochi mesi ho avuto circa 1.000 partecipanti in tutta Italia. Uno è dedicato al colloquio di lavoro e l’altro ai percorsi di carriera. Nel primo caso è una vera e propria esercitazione collettiva. Un volontario si sottopone a un colloquio simulato dal quale tutti apprendono cosa va e cosa non va. Nel secondo caso, invece, c’è un lavoro di gruppo con lo stesso metodo del medico delle carriere. I partecipanti escono con un proprio personal brand e soprattutto con le idee chiare su se stessi e su cosa possono aspettarsi dal mercato del lavoro manageriale.

Cosa ha imparato in questi primi mesi?
La prima cosa che cercano i manager oggi è una rassicurazione. La crisi ha avuto effetti devastanti. Ha distrutto certezze. Demolito l’autostima. Demotivato persone entusiaste. I manager sono persone abituate a impegnarsi. Ad assumersi grandi responsabilità. A perseguire obiettivi ambiziosi. Oggi sono disorientati, demotivati se non depressi. Il primo mattone della loro carriera futura è perciò il rafforzamento delle fondamenta. Ritrovare fiducia ed energia. Ci sono molte persone che nel proprio lavoro si annoiano o danno molto poco. Manca la spinta alla crescita e al cambiamento. I manager sono consapevoli che i posti offerti sono pochi e quindi molti cadono in una specie di fatalistica rassegnazione Mi è capitata una manager, ancora giovane e con discrete competenze, che ha ammesso di essere demotivata. È da anni nella stessa posizione. Ma cosa aveva fatto per cercare una nuova opportunità?
Nulla. Anzi. Le era stato offerto un posto all’estero, in un’area in grande sviluppo, da una azienda, che conosceva bene, in cui aveva già operato.
Eppure aveva rifiutato, per pigrizia e paura. Poi era andata in vacanza proprio in quel paese e si era resa conto che aveva perso una grande occasione.

Ma ci sono ancora occasioni sul mercato?
Si, anche se sono meno di prima. Per questo bisogna darsi da fare, prepararsi e presentarsi in modo professionale. Nel piccolo campione dei miei “pazienti”, circa un terzo ha avuto colloqui per nuovi posti in pochi mesi e un quarto ha trovato un nuovo lavoro o avviato trattative.
Non dico che sia merito mio, anche perché non faccio più il cacciatore di teste e ci tengo a chiarirlo molto bene ogni volta che ricevo un nuovo “Mentee,” ma certo una spinta e un metodo servono.

Come cercare un nuovo lavoro?
Ci sono tre canali fondamentali, tutti utili. Gli sponsor, i cacciatori di teste e le aziende direttamente. Il più efficace, secondo me, sono gli sponsor.
Vorrei essere chiaro: non parlo di raccomandazioni. Al contrario. Gli sponsor sono persone che ci conoscono, che hanno lavorato con noi, che ci stimano e che ci possono addirittura segnalare opportunità. Tutti i manager hanno una rete di sponsor: di solito si va da 5 a 20. Io li aiuto a metterla a fuoco. Bisogna segmentarli per categorie e tipologia. Poi bisogna mettersi in azione e contattarli, spiegando che stiamo cercando una nuova opportunità professionale. È come nell’attività commerciale: il primo obiettivo è ottenere un incontro.
Nei colloqui bisogna puntare a farsi segnalare per ricerche di manager incorso o future. Poi ci sono i cacciatori di teste. Fondamentali per arrivare a certe posizioni. Oggi però hanno pochi mandati e un eccesso di offerta di manager sul mercato. Bisogna allora andare in modo mirato verso gli head hunter che seguono il proprio settore o attività. Coltivare un rapporto nel tempo, non fare “spamming” col proprio curriculum. Essere pronti se capita una occasione. Infine, si possono contattare direttamente le aziende in cui si desidera andare a lavorare. In passato, una cosa simile era impensabile per un manager. Oggi non è più un tabù. Posso citare il caso di una manager italo-americana, che aveva saputo di una posizione aperta nella branch italiana di una multinazionale del lusso. Ha studiato il caso a fondo. Poi ha contattato direttamente la casa madre proponendosi e al termine di un processo di selezione è stata assunta. Certo, ha avuto fortuna, ma è stata anche molto determinata e non si è scoraggiata.

La prima regola d’oro?
Considerare la ricerca di un lavoro o l’avanzamento di carriera come un lavoro. Se hai un posto, consiglio di dedicarsi con impegno alla propria azienda e di continuare a progredire imparando e affrontando cose nuove.
Ma dando sempre un’occhiata in giro, senza strafare, mantenendo “le antenne alzate”.

Parliamo della fascia critica dei manager 50enni.
I manager dai 55 anni in su senza un posto hanno ancora grandi opportunità. Sono persone con una notevole vitalità, in forma, che usano bene le tecnologie. Vantano in genere una solida esperienza, spesso hanno affrontato grandi sacrifici per arrivare a incarichi di responsabilità. Certo devono essere molto flessibili, pragmatici, aperti, disponibili. Non bisogna intestardirsi a cercare solo un posto a tempo indeterminato con alto stipendio, auto aziendale, bonus, eccetera. Al netto di x corrisponde per l’azienda un costo di 2,5 volte, spesso non sostenibile. Ho visto manager lavorare con grande soddisfazione come consulenti per due o anche tre diverse imprese. Il loro netto finale è pari o superiore all’x di una volta. È un modello diverso, ma stimolante, che permette di mantenersi sul mercato e non esclude la possibilità, che capita, di essere poi richiamati a tempo pieno da una delle società servite.

E per chi ha perso il lavoro?
Per chi ha perso il lavoro è un ponte importante per arrivare un po’ più sereno all’età della pensione e, in genere, poi si continua così. Ho visto molti casi di manager che si sono reinventati un’attività e hanno scoperto anche un miglior equilibrio con la vita privata. Purtroppo, ho anche incontrato manager fuori dal mercato che insistono nel cercare solo un rientro nei ranghi aziendali precedenti e, spesso, sono frustrati e depressi. A loro va tutta la mia comprensione, ma devono guardare in faccia la realtà e soprattutto capire che hanno enormi potenzialità se accettano un approccio diverso al lavoro. Dipende solo da loro, molti hanno discrete attitudini imprenditoriali in nuce, ma si rifiutano di considerarle per scarsa attitudine al cambiamento.

E per chi è in servizio?
Consiglio prudenza. Chi ha una posizione decente se la tenga stretta evaluti con grande attenzione even-tuali cambi. I rischi sono elevati, perché se poi l’inserimento non riesce, le possibilità di rientro sono pochissime. Quindi analizzare e valutare con cura eventuali proposte. Non farsi attrare dall’aspetto economico, ma considerare l’affinità con la cultura aziendale e le persone con le quali si avrà a che fare. Se si riceve un’offerta interessante, suggerisco di trattare per evitare l’inserimento del periodo di prova. Basta inserire nel contratto delle clausole “paracadute”, come si dice in gergo, ovvero un periodo minimo garantito, che sia accettabilee ragionevole per entrambe le controparti.

E per chi accetta un nuovo incarico?
Affrontare i primi mesi, che sono sempre molto delicati, in punta di piedi. Cercare di capire l’ambiente in cui si è arrivati e cercare di inserirsi nell’ingranaggio, decodificando la reale cultura aziendale nel più breve tempo possibile. All’inizio, si verrà giudicati per l’atteggiamento e i comportamenti. Poi per i risultati, ma in genere solo dopo i primi 12 mesi. Quando ci si è consolidati e si è conquistata la fiducia dei capi e colleghi, si possono scaricare a terra i propri cavalli di potenza e far valere le proprie idee, portare avanti progetti e iniziative, andare un po’ controcorrente. Ma mai troppo presto. Nel prosieguo della carriera, è importante lavorare con intensità, portando risultati. E non accontentarsi mai dei risultati raggiunti.

Essere aperti, recettivi, come delle spugne, verso le novità. Essere dei portatori di novità. Infine, costruirsi un curriculum solido, ovvero non saltare troppo da un’azienda all’altra ogni due anni, ma neanche restare nella stessa azienda e nella stessa posizione troppo a lungo. Oltre i 6-7 anni oggi, con le evoluzioni sociali e tecnologiche in atto, si rischia di fossilizzarsi. Ci sono dei casi di manager che fanno carriera interna e magari entrano come stagisti e diventano anche amministratori delegati, con una “life-time career”, ma in genere cambiano ruolo ogni 3-4 anni, anche con esperienze a livello internazionale.

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