Corriere Innovazione – Ilaria Capua: «Qui la meritocrazia non vale. Siamo prigionieri della vecchia burocrazia»

di Sara D'Ascenzo
Direttore del dipartimento di Scienze Biomediche Comparate a Padova fino all'elezione alla Camera dei Deputati nelle file di Scelta Civica nel 2013, 48 anni, virologa di fama internazionale, Ilaria Capua è diventata «un caso» nel 2006, quando ha scelto di condividere dati genetici usando piattaforme digitali ad accesso libero per scongiurare la minaccia dell'aviaria. Oggi le sue battaglie si sono spostate in Parlamento, mentre il suo team di circa 70 esperti, continua le sue ricerche.

Com'è fare ricerca in Italia?
«E' molto impegnativo, perché il contesto istituzionale, se uno vuole fare ricerca nel pubblico, si aggiorna con molta lentezza rispetto alle regole e opportunità degli altri Paesi. Il sistema è ingessato per le pastoie burocratiche, non premia le persone meritevoli, le più adatte a fare ricerca e non permette di far partire spirali positive. Se uno vince un Grant europeo, le persone del team devono essere prese secondo le regole di selezione delle istituzioni! Non posso fare chiamate ad personam, ma devo prendere risorse che sono in una graduatoria.. Mentre all'estero il principal investigator di un Grant fa una ricerca attraverso procedure snelle e può scegliere in modo rapido le persone che sa che gli porteranno a termine il progetto. In Italia tutto questo è rallentato e perdiamo mesi di finanziamento».
La politica potrebbe aiutare e se sì, in cosa? Lei ora è anche dall'altra parte…
«Basterebbe copiare quello che fanno gli altri Paesi. Ho fatto una proposta di legge per istituire la figura del ricercatore indipendente, firmata da tutte le forze politiche tranne il Movimento 5 Stelle, ma non riesco a farla calendizzare, e ora sto cercando di farla inserire in qualche decreto del Miur. Il problema fondamentale è che per la politica la ricerca non è una priorità. E così spesso la politica diventa un ostacolo, come per esempio per il problema del riconoscimento del titolo di studio».
Quale qualità caratterizza i ricercatori italiani?
«Dando per scontato che i ricercatori iche hanno successo sono quelli che hanno bagaglio culturale, creatività e metodo, gli italiani riescono a essere empatici con i ricercatori di altri Paesi, riusciamo a stabilire rapporti personali che vanno oltre le cosa da farsi, parte del successo che sia io che i miei collaboratori abbiamo avuto, è che siamo flessibili».
L'immagine della donna ne guadagna dall'immagine delle ricercatrici?
«Il ruolo del ricercatore purtroppo + legato all'immagine di una persona frustrata e questo allontana molte persone dalla ricerca. Mi piacerebbe vedere donne orgogliose di fare ricerca!».
La sua prossima sfida? 
«Vorrei istituire corsi sulla leadership femminile nel campo della sanità pubblica. Le ragazze hanno un bagaglio culturale pari se non superiore a quello dei ragazzi. Peccato tendano ad accontentarsi di impieghi di Serie B, invece io vorrei mettere insieme il potenziale della ricerca, la leadership e la comunicazione per far capire l'importanza della ricerca e permettere ai talenti femminili di essere pianamente espressi!».

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