Corriere della Sera – Basta piangersi addosso. Il futuro è in nove mosse

La strategia di Roger Abravanel: muoversi come negli scacchi

di Beppe Severgnini

Fra tanti padri che piagnucolano, fra tanti adulti che si lamentano, fra tanti dirigenti che non dirigono, eccone uno che propone: evviva. La ricreazione è finita (Rizzoli), di Roger Abravanel, porta come sottotitolo Scegliere la scuola trovare il lavoro. Un meticoloso manifesto contro il pessimismo, scritto per i ragazzi da chi non lo è più da tempo, ma almeno ricorda di esserlo stato.

L'autore usa, per convincere i lettori, una metodologia edilizia: prima sgombera il terreno (dai falsi miti, dagli stereotipi), poi costruisce il suo edificio. Chi pensa che le scuole siano tutte uguali? Dove sta scritto che prima si studia, poi si lavora? Ed è così importante avere buoni voti? Com'è possibile che in Italia esistano i fuoricorso che laureano con 110 e lode? E soprattutto: ma chi ha detto che, per trovare lavoro, bisogna aspettare che passi la crisi?
Il libro, scritto con Luca D'Agnese, parte da una considerazione tanto evidente quanto trascurata: il periodo tra i 20 e i 30 anni non va sprecato. Per fortuna, La ricreazione è finita non si limita ad auspicare – un'attività in cui in Italia siamo bravissimi – ma offre un itinerario e una doppia mappa: scuola e lavoro. La prima è più polemica, la seconda più convincente. 

Cosa chiedono, oggi, i datori di lavoro a un giovane appena assunto? si domanda l'autore. Non tanto conoscenze, che si danno per scontate, quanto «tratti della personalità e valori individuali, che migliorano il modo in cui una persona si inserisce nell'organizzazione. La capacità di affrontare e risolvere problemi, innanzitutto. «Il mondo del lavoro non vuole più operai, venditori, impiegati che eseguano solo procedure e rispettino con zelo le decisioni prese dai capi, ma lavoratori in grado di diventare essi stessi "capi"». Vero. Peccato – aggiungiamo noi – che troppi capi italiani non abbiano «la capacità di guardare un problema con prospettive diverse», di incoraggiare l'indipendenza e l'intraprendenza dei sottoposti. Il loro motto è: «si è sempre fatto così!».

Il lavoro c'è, sostiene Abravanel, ma i nostri giovani non sono preparati a intercettarlo. In molti, per esempio, non sanno presentarsi. Scrivono curriculum inadeguati, dimenticano di inserire esperienze come il volontariato (sebbene, grazie a Linkedin, stiano migliorando). Non capiscono che, anche in azienda, devono costruirsi un «marchio personale» (in milanese moderno: personal brand). E, soprattutto, continuano «nella logica del percorso definito». E' uno schema sbagliato – spiega pazientemente l'autore – perché «nel mondo di oggi, con le possibilità e le incertezze che crescono a dismisura, cercare di pianificare tutte le scelta della vita è perdente. Bisogna fare come il giocatore di scacchi che, quando inizia il gioco o anche nel corso della partita, non si chiede come farà a dare scacco matto, ma come conquistare una posizione forte, che gli consenta di difendersi, non lo esponga a rischi eccessivi e gli dia le massime opportunità». Scacchi, quindi. Non gioco dell'oca. 

Abravanel sospetta che molti giovani italiani non abbiano il coraggio di osare: «Per quanto riguarda la mobilità verso l'estero, le statistiche ci vedono il fanalino di coda dell'Europa».

Siamo sicuri? Com'è possibile, allora, che Londra sia diventata l'ottava città italiana, e raccolga tanti connazionali quanti Bologna (circa 400 mila)? Davvero esiste «un pregiudizio antiemigrazione»? Siamo certi che in Italia «non riconosciamo il lavoro all'estero come un'opportunità»? La sensazione è che i millenari – gli italiani nati negli anni 80 e 90 – abbiano invece alcune idee chiare, in proposito.
Alcuni vanno all'estero per mancanza di alternative; altri per scoprire, migliorare, tornare, magari ripartire. Vorremmo che i secondi fossero più dei primi: tutto qui. E' invece pienamente condivisibile quest'affermazione: «Il premio per l'inventiva e il fiuto imprenditoriale non è mai stato così grande e rapido». Abravanel ha ragione. La lunga crisi economica e la contrazione del lavoro dipendente (la progressiva scomparsa del lavoro normale?) hanno convinto molti giovani italiani a mettersi in gioco, a provare, proporre, inventare. La fame e la Rete, negli ultimi dieci anni, hanno formato una generazione che non si vedeva fagli anni 60 del XX secolo. Lo ha ricordato anche la rivista «Wired Italia», in febbraio: «Il vero Jobs act è l'innovazione. E' questa l'unica forza in grado di riportare crescita e mobilità sociale per i Paesi che la sapranno cavalcare».
Ma Roger Abravanel è un uomo pratico e un autore metodico. Più degli scenari, ama i suggerimenti pratici. Come V. I. Lenin – certamente non tra i suoi riferimenti intellettuali – chiude con una domanda implicita: «Che fare?». E offre ai ragazzi italiani questa risposta. 
1. Fare le proprie scelte per convinzione, non per fatalismo
2. Non cercare mai alibi
3. Conquistare rapidamente l'indipendenza dalla famiglia
4. Abbandonare le comodità e cercare le difficoltà
5. Non avere paura di fallire
6. Scoprire in fretta le proprie passioni
7. Scegliere le proprie scuole da versi «clienti» dell'istruzione
8. Costruirsi una reputazione personale
9. Diventare cittadini del mondo
Un elenco che non appare soltanto sensato: è utile. Come tutto il libro.
Peccato – si può dire – il titolo un po' paternalista. Un saggio pieno di proposte avrebbe dovuto presentarsi con parole diverse da La ricreazione è finita. I ragazzi – di cui l'autore tiene in maniera appassionata – hanno bisogno soprattutto di incoraggiamento. Mettiamola così: se la ricreazione è finita, la ri-creazione, in Italia, è appena iniziata. Si crea di nuovo. Basta sapere come fare. Magari, leggendo un libro come questo: il futuro in nove lezioni. 
Ecco, questo era il titolo

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