L’Italia può uscire dalla crisi puntando sulla meritocrazia

Alessandro Zollo, amministratore delegato di Great Place to Work: «Le aziende non possono più permettersi di tagliare i costi. Ma agendo sul merito, ripartirebbero»

di Marianna Baroli
Quanta meritocrazia c'è in Italia? Quanto conta davvero il merito, il saper fare, l'impegno nel proprio settore rispetto alla raccomandazione?
A queste domande ha risposto Alessandro Zollo, amministratore delegato di Great Place to Work, l'azienda creata per assistere le organizzazioni ad individuare, creare e sostenere ambienti di lavoro eccellenti, fondati sullo sviluppo di un elevato livello di fiducia. La prima ricerca sul tema, dal titolo «la meritocrazia aiuta le imprese a diventare eccellenti», è stato organizzato dal Forum della Meritocrazia, Great Place to Work, Doxa Duepuntozero, con il contributo di Aidp svolgendo una ricerca empirica che ha coinvolto i collaboratori di aziende italiane leader sul mercato.
Quanta meritocrazia c'è in Italia?
«I dati della ricerca parlano da soli. Pichina. In Italia ci sono manager in grado di sviluppare alti livelli di meritocrazia all'interno delle aziende ma spesso questi manager italianissimi abbandonano l'Italia e vanno a lavorare per aziende internazionali».
Perché?
«Per un modo di lavorare differente rispetto a quello italiano. In aziende internazionali ci sono processi di selezione più moderni. Questi manager sono abituati a lavorare in logiche di meritocrazia appena entrano in una nuova azienda. Quando vengono scelti sanno che potranno fare carriera e che proprio per questo vengono selezionati in base al merito».
Questo innesca un meccanismo diverso da quello italiano?
«Certo. Proprio per questo modo di lavorare a cui sono e vengono abituati, una volta raggiunto il livello di carriera prospettato questi manager assumeranno nell'ottica della meritocrazia cercando e prendendo collaboratori in base a questo valore».
Chi cerca la meritocrazia come valore fondamentale sul posto di lavoro?
«I giovani. Loro sono abituati a rapportarsi anche a livello internazionale e quindi, come dimostrano i numeri della nostra ricerca, quando entrano in un'azienda hanno una prospettiva di futuro molto elevata. A livello internazionale la curva, che pochi anni dopo l'inizio del lavoro scende, torna a salire. Nelle aziende del nostro Paese questo non succede e l'aspettativa continua a scendere».
L'assenza di meritocrazia in Italia può essere uno dei problemi da risolvere per uscire dalla crisi?
«Sì. Ormai ci siamo arrivati a un punto in cui tagliare i costi delle aziende basta più. Durante la prima crisi, quella iniziata nel 2009, tagliare sprechi e ridurre i costi era una soluzione che poteva essere anche benvenuta. Ora, continuando a tagliare i costi, rischiamo di vedere aziende che funzionano chiudere. Se invece iniziassimo anche noi ad agire sul merito, la situazione potrebbe cambiare».
Perché manca la meritocrazia?
«Non siamo abituati, siamo abituati a lavorare sulle relazioni. In Italia chi si occupa di selezione del personale ci spiega che solo il 20% di chi cerca lavoro tramite aziende si affaccia poi sul mercato dei professionisti. Il resto, sono amici degli amici, in qualsiasi settore è così».
Il nostro è quindi un problema di mentalità.
«Faccio un esempio. Quello che funzionava, prima era il "modello brianzolo". Il pradrone faceva sgobbare i suoi dipendenti, li cresceva fino a mettere in piedi una società. Oggi questo non succede più e per questo non ce la si fa. Gli unici che crescono sono quelli che esportano e hanno bisogno di manager competenti».
Com'è cambiato il ruolo del manager?
«Non c'è più il manager che fa molto bene un lavoro ma c'è il manager che fa fare molto bene il tipo di lavoro per cui è scelto. Questo è il salto di organizzazione che alcune imprese devono fare».
C'è differenza tra uomo e donna a livelli di meritocrazia?
«Le aziende guidate da donne hanno livelli di meritocrazia più alti. La donna che arriva a posizione manageriali in Italia arriva dopo aver fatto una fatica doppia e quindi instaura automaticamente processi di meritocrazia più alti».
Quali sono le aziende che funzionano meglio a livello meritocratico?
«Le aziende che funzionano meglio sono quelle con meccanismi di comunicazione diretta meno ingessata, quelle che puntano sui giovani e hanno al loro interno uffici con comunicazione più semplice. Sono le aziende meno gerarchiche in cui la collaborazione è un fattore determinante».

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