La credibilità dei board

CORPORATE GOVERNANCE/1. Perché la meritocrazia nei cda ha un effetto diretto sul business

Per avere successo nel mercato globale, gli organi di controllo non possono limitarsi a vigilare sul rispetto delle regole, ma devono anche contribuire alle performance dell’impresa, dandosi obiettivi chiari, misurabili e visibili agli azionisti.

di Gi.M.

La prima evidenza è che la stragrande maggioranza delle aziende italiana medio grandi (il 62% del campione interpellato) non ha formalizzato un processo di selezione dei propri membri del Cda. La seconda evidenza è che anche quel 38% di aziende che dichiara di scegliere i membri del Cda in base a criteri specifici, riguardo ai criteri di scelta nel 67% dei casi dichiara di aver puntato a portare in aziende competenze che mancano, il 56% si richiama a criteri di diversità (etnia, età, provenienza geografica e naturalmente, soprattutto, genere vista la legge sulle “quote rosa” comunque in vigore per le quotate), il 48% della disarmante ammissione è che uno dei criteri di scelta è la conoscenza personale o la relazione con il membro del Cda, mentre solo il 30% ha incluso nei criteri di scelta delle valutazioni di performance, ovvero se il consigliere in passato “ha fatto bene” o meno. Insomma, da questa prima analisi sembra proprio che il merito, la comprovata capacità di portare al successo un’azienda o meno, in Italia, c’entri proprio poco con il fatto di sedere nel consiglio di amministrazione di una società di dimensioni medio grandi.

Cda, un affare di “famiglia”

In un certo senso non è che questo risultato, realizzato su un campione di 72 rispondenti nella prima metà del 2016 da Duepuntozero Doxa per Forum della Meritocrazia, Nedcommunity e Deloitte, lasci poi così stupefatti. Tutti sappiamo che in Italia la gestione delle imprese è spesso un affare di famiglia e di relazioni, anzi, che “solo” il 48% ammetta che la conoscenza è uno dei criteri di scelta sarebbe da considerare quasi una sottovalutazione se non ci fosse quel 62% di rispondenti che non ammette di aver usato alcun criterio formale per la scelta. Ancora di più lascia un po’ sconcertati il fatto che le aziende interpellate siano state circa 450 e solo il 16% abbia deciso di rispondere a un sondaggio del genere. E’ evidente che il problema della composizione del consiglio di amministrazione non è fra le priorità delle aziende italiane. E neanche la qualità del suo funzionamento: la ricerca ci spiega anche che soltanto il 56% dei Cda delle aziende interpellate (40 su 72) effettua un autovalutazione annuale sul proprio operato. E quasi metà di quelli che non lo fanno ritiene anche inutile farlo. Anche chi lo fa applica sistemi di valutazione prevalentemente “qualitativi” (non legati a preformance economiche o di sostenibilità dell’azienda), quindi più facilmente opinabili e meno misurabili nel tempo.

Da dove partire per cambiare cultura

Insomma, sembra quasi che alle aziende italiana l’importanza della qualità dei consigli di amministrazione sfugga o che non sia un elemento così essenziale, come se ancora stessimo parlando di un mercato nazionale chiuso, dove l’importanza di indicatori di performance sempre più sofisticati non fosse un elemento chiave per trovare clienti, partner commerciali, investitori. Secondo Domenico Zaccone, un quarto di secolo in Unilever poi in Sara Lee Corporation come consigliere delegato, manager internazionale di lungo corso, oggi siete nei consigli di alcuni fondi di Private Equity ed è il responsabile dell’indagine per conto del Forum della Meritocrazia, la situazione non è così disastrosa: «E’ evidente che la nostra indagine voleva essere un sasso lanciato nello stagno. Non ci aspettavamo una forte consapevolezza in un paese dove il merito viene tenuto in così bassa considerazione e il concetto dell’importanza della corporate governance non è ancora così diffuso. Anzi, devo dire che qualche sintomo di attenzione l’abbiamo riscontrato, quantomeno con l’evoluzione innescata dalla legge sulle quote rosa. Sembra, però, che l’adesione a questa innovazione sia più formale che sostanziale».

Non è che la struttura ancora sostanzialmente familiare delle aziende italiane sia di ostacolo a questa consapevolezza?

No, in realtà le aziende interpellate non sono solo familiari, ci sono anche banche, aziende quotate che hanno strutture proprietarie più complesse e società con più di 250 milioni di fatturato. Come dicevo abbiamo riscontrato che un’evoluzione c’è stata nella composizione dei Cda, sia in termini di genere (ci sono più donne) sia di competenze. Manca l’elemento del merito, che secondo noi è fondamentale per il successo della governance di un’organizzazione. E la meritocrazia dovrebbe partire dal vertice, proprio dai Cda che hanno funzioni di controllo, ma anche di indirizzo strategico. Anche perché il contesto competitivo globale non permette più di avere organi di controllo societario che garantiscano la sola compliance regolatoria; per avere successo in un contesto di mercato competitivo globale occorre che gli organi di controllo contribuiscano anche alle performance dell’impresa e che questo contributo venga misurato e reso visibile agli azionisti.

Qual é l’obiettivo della ricerca?
Questa è la prima ricerche che facciamo. Non abbiamo la pretesa di rivoluzionare una cultura aziendale consolidata, ma quanto meno di mettere in luce le best practice superando anche l’idea che i giudizi sui membri del consiglio debbano derivare solo da un’autovalutazione qualitativa (come fino ad ora prevede il codice di autodisciplina). Il nostro primo obiettivo è far emergere un bisogno. Credo che alcune delle maggiori multinazionali italiane, quelle più esposte alla competizione globale, stiano già utilizzando criteri di valutazione di questo tipo; penso ad Eni che da dieci anni ha un programma di Board review annuale condotto da professionisti esterni che comprende la valutazione dei consiglieri. Gli stessi professionisti hanno segnalato, tra i miglioramenti di funzionamento del Cda di Eni, la misurazione dell’efficacia dell’attività del board attraverso criteri o indicatori di performance (fonte: Board Index 2013 Spencer Stuart).
A livello internazionale esistono organismi, come l’Icgn (International Corporate Governance Network), che elaborano principi su come dovrebbe funzionare la governance aziendale sia per i legislatori che per le aziende stesse. Icgn considera una rigorosa review delle performance del Cda e la presentazione agli azionisti del processo di valutazione delle performance tra i principi guida per descrivere le rispettive responsabilità di amministratori e azionisti, con lo scopo di migliorare la relazione tra le parti.

Perché è così importante definire come funziona un Cda?

Perché chi gestisce un consiglio ancora non lavora per obiettivi. Il consiglio non deve solo vigilare il rispetto delle regole, deve dare un indirizzo all’azienda, stabilire una rotta. Non basta che chi siede in consiglio sia competente, ma deve anche dimostrare di essere capace di conseguire questi obiettivi: di sedere in consiglio deve meritarlo.

Senza obiettivi chiari, difficile fare valutazioni
Paola Schwizer è professore di economia degli intermediari finanziari presso l’Università di Parma, docente dello Sda Bocconi ed è il presidente di Nedcommunity, associazione di amministratori e sindaci indipendenti ed esperti di corporate governance con circa 500 iscritti. Schwizer spiega che l’indagine, che è stata svolta sia su società quotate che non quotate, riflette il fatto che tutte le società quotate sono tenute ad applicare criteri di autovalutazione annuale dell’operato del Cda. «Il problema è come lo fanno: a volte la forma prevale sulla sostanza. Questo perché non credono nell’importanza del processo ed è un peccato perché una autovalutazione be strutturata è in grado di far emergere le aree dove il consiglio potrebbe migliorare. Quello che manca è la definizione di obiettivi da parte dello stesso Cda: senza obiettivi chiari è poi difficile fare valutazioni di merito. Nel codice di autodisciplina tedesco il consiglio di sorveglianza (il sistema è duale, c’è un cds che sovraintende ed un Cda che gestisce) è tenuto a darsi degli obiettivi specifici. In Italia, tale principio non è codificato. In più nelle società non quotate non viene svolto neppure il processo di autovalutazione: non c’è obbligo, non si perde tempo a farlo, non ci si pensa neanche. Ma in realtà misurare i risultati del Cda vuol dire, nel tempo, migliorare la sua funzionalità come organo. E’ un modo per essere certi che la governance funzioni: è uno strumento organizzativo essenziale. Perché è al Cda che spettano la supervisione delle funzioni di gestione e di controllo e la gunzione di indirizzo….

In altre parole, se il Cda non funziona bene neanche il management può funzionare bene…

E’ assolutamente così, perché è dal Cda che partono gli input di gestione. Non basta avere la persona di spicco in un ruolo chiave, bisogna che si attivi un meccanismo di discussione e confronto con gli altri attori del sistema di governo. E bisogna che questi meccanismi siano chiari e riconoscibili. Un consiglio “opaco”, con processi decisionali poco trasparenti vuol dire che un’azienda poco desiderabile da cui gli investitori stanno alla larga. Oggi chi impiega il suo denaro in un’impresa va sempre più in dettaglio, guarda certamente il curriculum e il profilo degli amministratori. Non c’è dubbio che un buon mix di competenze eterogenee in consiglio sia desiderabile, ma occorre anche che esso determini una capacità di indirizzo e di monitoraggio efficace delle strategie aziendali.

In confronto con le aziende europee

«Il nostro coinvolgimento nella ricerca è stato anche di tipo logistico», spiega Roberto Rognoni, il senior manager della multinazionale di revisione contabile Deloitte che ha curato il progetto «anche perché in una realità come la nostra la meritocrazia è al centro della cultura aziendale. Abbiamo, inoltre, voluto guardare oltre i nostri confini per vedere come la tematica viene affrontata, almeno a livello europeo, effettuando un’indagine che ha analizzato come le aziende che fanno parte dell’indice Eurostoxx 50 (20 francesi, 15 tedesche, 5 italiane e spagnole, quattro olandesi, una finlandese) si comportano su questo fronte. Sono emerse alcune evidenze che si integrano molto bene con quelle scoperte dalla ricerca fatta con il Forum della Meritocrazia. Per esempio, la valutazione delle performance dei Cda delle 50 aziende analizzate viene realizzata con tre modalità: tramite un organismo interno (35), tramite un organismo interno aiutato da un consulente (9) o tramite un consulente esterno (6). Tutte le società italiane sono nel terzo gruppo: nessuno ha attribuito a una funzione interna la valutazione dell’operato del Cda».

Che valore ha un Cda con una valutazione chiara di obiettivi e metodi di lavoro?

L’analisi della governance di una società è un elemento sempre più fondamentale nel momento in cui viene svolta una due diligence. In particolare, è un elemento che può influenzare in maniera molto consistente la decisione di investitori finanziari che assumono quote di minoranza, come un fondo di Private Equity. E’ chiaro, infatti, che se c’è un’acquisizione è molto probabile che l’acquirente voglia sostituire i membri del Cda. Ma chi fa un investimento finanziario in un’azienda in ottica di sviluppo ha bisogno di conoscere le dinamiche interne che ne governano il funzionamento. Se non c’è trasparenza, spesso, o non c’è investimento o viene effettuato a condizioni peggiori per la proprietà.

Anche tu puoi contribuire al riconoscimento del merito